L'intelligenza emotiva: cos'è, perchè è importante, come favorirla

13.10.2015 11:29

Oggi parliamo di benessere psicologico dei nostri figli affrontando il delicato argomento dell'intelligenza emotiva. Con noi abbiamo un'esperta del settore, psicologa e psicoterapeuta, nonchè mamma: la dr.ssa Francesca Baggio.

"La scienza ha compiuto scoperte sensazionali sul ruolo che le emozioni svolgono nella nostra vita. Hanno constatato che la consapevolezza emotiva (ovvero la conoscenza delle emozioni e di cosa le determina) e la capacità di padroneggiare i sentimenti (ovvero la capacità di gestirli) sono fattori determinanti il successo e la felicità in tanti campi dell'esistenza. Un grande strumento per aiutare il bambino a crescere serenamente e a conoscere e gestire il suo mondo emotivo è aiutarlo ad avere una buona "intelligenza emotiva", che per i genitori significa essere consapevoli delle emozioni dei propri figli, essere in grado di empatizzare con loro, di rasserenarli e di guidarli quando provano (forti) emozioni; per i figli ciò implica la capacità di capire, accettare e gestire le proprie emozioni, dominare i propri impulsi, rimandarne il soddisfacimento, motivare se stessi, interpretare i segnali che provengono dagli altri, affrontare gli alti e bassi della vita. Nel rapporto tra genitori e figli l'amore da solo non è sufficiente. Genitori attenti, affettuosi, assidui hanno spesso nei confronti delle proprie emozioni e di quelle dei figli atteggiamenti che interferiscono con la capacità di comunicare con loro quando questi sono arrabbiati, tristi, spaventati. E' necessario incanalare questo affetto in alcune competenze di base da esercitare nell'area di educare i figli all'emotività. E questo è sufficiente per essere dei buoni genitori". (J. Gottman, Intelligenza emotiva per un figlio, 1997).


Di fronte alle emozioni e alle reazioni dei nostri bambini noi genitori/educatori possiamo reagire in tanti modi diversi, che dipenderanno da come leggiamo le loro reazioni ed emozioni. In merito a reazioni intense dei bambini (soprattutto rabbia, tristezza, paura, sensi di colpa, ecc.) alcuni studiosi hanno creato 4 categorie di genitori/educatori:

       
    • allenatori   emotivi: riconoscono e accettano le emozioni dei bambini, fanno   capire che hanno capito come stanno, le vivono come opportunità   per costruire relazioni più strette e per insegnare loro come   gestire i sentimenti spiacevoli; non spiegano al bambino quello che   dovrebbe provare o fare. I bambini imparano così a fidarsi delle  proprie emozioni, a regolarle e a risolvere i problemi presenti.  Hanno una buona stima di sé, imparano bene e si trovano bene con  gli altri.


    • noncuranti:  sminuiscono, ignorano, sottovalutano le emozioni negative dei  bambini, vorrebbe che non ci fossero/sparissero/da sole, si sente  messo a disagio da esse; è convinto che siano negative e sia  deleterio parlarne; si concentra più sul fatto che  spariscano/risolverle che sul comprenderle/che il bambino le  capisca/riconosca/risolva; è convinto che indichino problemi nel  bambino o nel proprio ruolo. I bambini imparano a considerare i  propri sentimenti come sbagliati, inadeguati, privi di valore.  Possono credere che c'è qualcosa di sbagliato nel proprio intimo  perché hanno emozioni sbagliate. Potrebbero avere difficoltà a
      gestire le proprie emozioni.


    • censori:  criticano le emozioni negative dei bambini e possono arrivare a  rimproverarli o punirli per queste manifestazioni emotive; vuole  porre limiti e enfatizza lo standard di buon comportamento;  colpisce le emozioni e non i comportamenti inadeguati conseguenti;  crede che il bimbo le usi per manipolare e siano un segno di  problemi di carattere, segno di debolezza, una perdita di tempo, un  lusso improduttivo. Stessi effetti sul bambino del noncurante.


    • lassisti:  accettano le emozioni dei bambini e si dimostrano empatici, ma non  riescono ad offrire una guida o a porre un limite al loro  comportamento; offre scarse indicazioni su cosa fare, non aiuta a  risolvere i problemi; non insegna nulla riguardo alle emozioni; in  parte le subisce e insegna solo ad accettarle ... poi passeranno. I  bambini non imparano a regolare le loro emozioni. Possono avere  problemi a concentrarsi, a crearsi amicizie, a stare insieme con i  coetanei.


Facciamo un esempio concreto: D. è già in ritardo per il lavoro, mentre cerca di convincere suo figlio L. di 3 anni a mettersi la giacca per portarlo all'asilo. Dopo una colazione frettolosa e una battaglia su quali scarpe mettere anche L. è teso. In realtà non gli importa che la mamma abbia un importante appuntamento di lavoro fra tre quarti d'ora. "Voglio stare a casa". Quando D. gli risponde che non è possibile si butta a terra, si sente triste e
arrabbiato e si mette a piangere. Una risposta che aiuta a promuovere e allenare l'intelligenza emotiva è più o meno la seguente:

"Perché non vuoi andare all'asilo?" - "Perché voglio stare a casa con te" - "Davvero?" - "Sì, voglio stare a casa" -
"Penso di capire come ti senti. Anche io certe mattine vorrei stare a casa con te, belli tranquilli. Ma ho dato la parola al lavoro che andrò lì, e non posso mancare" - "Perché no? Non è giusto. Io non ci voglio andare all'asilo" (piange) - "Vieni qui (lo prendo in braccio) Mi spiace che non possiamo rimanere a casa, è questo che ti fa arrabbiare, vero?" - "Sì" - "E sei anche triste..." - "Sì" - "Anche io sono un po' triste (lo lascio piangere per un po' e lo coccolo). Pensiamo a domani, sia tu che io saremo a casa, cosa ti piacerebbe fare assieme?" - "Guardare i cartoni" - "Buona idea! Vorresti fare altro se abbiamo tempo?" - "Andare al parco con F." - "OK,
dobbiamo chiederlo alla sua mamma. Ora però è ora di andare, d'accordo?" - "Vabbè".


L'allenamento emotivo: il genitore/educatore che voglia imparare a fare una buona educazione sulle emozioni, e a sviluppare così una buona intelligenza emotiva nel figlio:


1 Diventa consapevole dell'emozione del bambino


2 Riconosce in quell'emozione un'opportunità di intimità e insegnamento


3 Ascolta con empatia e convalida i sentimenti del bambino


4 Aiuta il bambino a trovare le parole per esprimere l'emozione che sta provando


5 Pone dei limiti al comportamento (se il caso) mentre esplora strategie per risolvere il problema in questione


1 essere consapevoli delle emozioni dei bambini: i bambini/ragazzi: spesso esprimono le loro emozioni in modo indiretto o con modalità che lasciano perplessi gli adulti. Hanno delle ragioni precise per le loro emozioni, sebbene non sempre siano in grado di articolarle verbalmente. Noi adulti dovremmo essere in grado di capirle ... Come?

       
    • Facciamo un passo   indietro e guardiamo il grande quadro della loro   vita/periodo/giornata


    • Sotto i 7 anni  spesso manifestano le emozioni nei giochi di fantasia ("facciamo  finta che ...")


    • O attraverso giochi  in cui parlano di emozioni e temi seri (abbandono, morte, malattia,  ecc)


    • O attraverso  comportamenti sintomatici (alimentazione, sonno, dolori fisici)


2 riconoscere nell'emozione un'opportunità di intimità e insegnamento: il bambino ha bisogno di genitori/educatori proprio nel momento in cui prova forti emozioni. Le emozioni negative non passano col tempo o ignorandole o punendole, ma si dissolvono quando i bambini possono parlarne, dar loro un nome, sentirsi compresi. Ha senso dunque riconoscere le emozioni quando sono ancora ad un livello basso, prima che deflagrino in crisi aperte.


3 ascoltare con empatia e convalidare i sentimenti del bambino: usare gli occhi per cogliere le prove fisiche delle sue emozioni (corpo, viso, gesti), l'immaginazione per vedere la prospettiva dal suo punto di vista, le parole per riflettere su quanto hanno visto e aiutare i bambini a dare un nome a ciò che sentono, il cuore per sentire quello che loro sentono. Quando i bambini parlano dei loro sentimenti non serve a molto usare la logica, molto meglio stare ad ascoltare. L'adulto deve cercare di astenersi da 1) interrogare per capire e 2) spiegare al bambino cosa dovrebbe fare, e concentrarsi sul comprendere, riflettere su quello che notate, comunicare che capisce, permettere al bambino di trovare delle soluzioni. Esempio. Quando il postino recapita un pacco dono per il compleanno di C., 4 anni, suo fratello G., 6, reagisce con irritazione: "Non è giusto!". La reazione che tendiamo ad avere è quella della "logica": "Quando arriverà il tuo compleanno probabilmente la nonna manderà un pacchetto anche a te". Questa affermazione è forse realistica e ragionevole, ma nega i sentimenti di G., che oltre a sentirsi geloso per il regalo di C. si sentirà forse arrabbiato perché non capito. Altra possibile reazione: "Vorresti che la nonna avesse mandato un pacco anche per te, vero? Scommetto che è per questo che ti senti
geloso" - "Sì, proprio". G. potrebbe pensare che è giusto che lui non abbia ricevuto il regalo e C. sì, ma che il papà lo capisce. Questo lo mette nelle condizioni migliori di ascoltare le spiegazioni del papà.


4 aiutare il bambino a trovare le parole per definire quello che prova: cioè a passare, soprattutto per i più piccoli, da una sensazione amorfa, sgradevole, indefinita a qualcosa di definibile, con confini precisi, un'esperienza comune e condivisibile. Non significa suggerire al bambino come dovrebbe sentirsi ma semplicemente aiutarlo a descrivere come si sente, guidandolo ad esplorare i suoi sentimenti e rassicurandolo sul fatto che è normale provarli.


5 porre dei limiti, mentre si aiuta il bambino a risolvere il problema: è necessario che il bambino capisca che certi comportamenti (non emozioni!) sono inaccettabili e non verranno tollerati, e in seguito lo guidino a trovare modalità più accettabili di comportamento. I sentimenti e i desideri sono accettabili e accettati, i comportamenti non sempre, non tutti. Così non miniamo il carattere e l'autostima, ma guidiamo il comportamento. I genitori dovrebbero chiarire ai bambini che ci sono comportamenti "verdi" (autorizzati e desiderati), "gialli" (non autorizzati, tollerati solo 1. principianti, 2. tempi difficili), "rossi" (non tollerati senza eccezioni). Dovremmo comunicare ai bambini le conseguenze ai loro comportamenti, positivi e negativi; meglio se esse sono concrete, definite, connesse direttamente al tal comportamento. Dopo queste fasi si può aiutare il bambino a trovare delle altre soluzioni al problema: va capito innanzitutto qual è lo scopo del bambino, ovvero cosa vorrebbe ottenere riguardo al problema in questione. Capito questo si può chiedere/cooperare nel trovare delle soluzioni alternative, incoraggiandolo a trovare sue idee. Si può anche far sperimentare una soluzione dopo l'altra (soprattutto con i bambini più piccoli) e far riflettere ex post su com'è andata. Si possono usare fantasia e giochi di ruolo, riflettere e confrontare altre esperienze passate, discutere con altri per capire le loro soluzioni o raccontare vostre esperienze in situazioni affini. Elaborate una serie di alternative, vagliatele in base alla loro qualità, incoraggiando poi il bambino a scegliere quale fare e a valutarne i risultati.

In sintesi (ibidem):-
Evitare critiche eccessive, commenti umilianti o sarcastici.

- Astenersi dalle critiche generali e persistenti sui tratti di personalità del bambino essendo invece specifici e incoraggianti ("Nella tua stanza i giocattoli sono sparsi dappertutto" vs. "Sei confusionario e distratto"; "Se dedicherai dieci minuti di tempo alla lettura ogni sera imparerai a leggere più velocemente" vs. "Leggi troppo lentamente").


- Le richieste siano chiare e semplici ("Non arrampicarti sui mobili della nonna" vs. "Non fare il solito disastro").


- Usare il sostegno graduale e l'elogio mirato ("Bravo, hai premuto il tasto proprio nel momento opportuno" vs. "Bravo").


- Essere coerenti: esempio di dialogo tra bambino e genitore: G: "Qual è il problema tesoro? Mi sembri triste." - B: "Vorrei avere una sorella più gentile" - G: "Capisco perché qualche volta provi questa sensazione" vs. "E tu sei gentile verso di lei?".


- Per cogliere l'emozione sottostante una cattiva condotta meglio chiedere come si sentiva quando si è comportato in un certo modo vs. "Perché l'ha fatto?".


- Non imporre i propri scopi, le proprie soluzioni, ma cercare di capire e di aiutare a capire cosa vuole il bambino e se/come può chiederlo, raggiungerlo (vedi oltre)


- Se possibile dare loro possibilità di scelta e rispettare i loro bisogni/(desideri).


- Cercare di stabilire delle regole e delle conseguenze alla loro infrazione attraverso il compromesso e la discussione (vedi oltre)


- Darsi e dargli tempo per imparare e per sbagliare.


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